I Mosi ed i Mosetti – trascritti questi ultimi in non poche carte antiche come Mossati – sono uniti tra loro. Il primo nucleo, i Mosi, certamente più antico, ha una sua appendice nei Mosetti, che in passato erano in stretto rapporto, se non in una certa dipendenza, e considerati come secondari dai primi, specie dai vari “signori” che dall’alto medioevo li ebbero in proprietà. La pronuncia attuale è di “Mös” e di “Môsett”; però in passato i Mosetti erano chiamati “Môsatt”, diminutivo dell’antico piemontese o termine rurale.
I Mosi e i Mosetti sono situati ad oriente di Cambiano, e distano dal centro, in linea d’aria, un paio di chilometri. Sono separati tra loro qualche centinaio di metri e posti tra le borgate di Fontaneto e di Ponticelli, oltre il rio Tepice. Sono collocati sulla zona di maggior elevazione di un’ area pianeggiante o dolcemente inclinata; formati da alcuni cascinali attorno ad un castello, più possente quello dei Mosetti, con la sua torre caratteristica che termina a punta di clarino.
Il rio Tepice separa il territorio del comune di Cambiano da quello di Chieri. Ne consegue che i Mosi ed i Mosetti sono amministrativamente sotto il comune di Chieri, però in fatto di giurisdizione ecclesiastica dipendono dalla parrocchia di Cambiano ab immemorabili, e il fatto potrebbe allacciarsi al tempo in cui gli abitanti, posti in due zone divise da un corso d’acqua, coi loro terreni prativi confinanti, si consideravano ed erano “vicini”. E ciò ci porta nell’alto medioevo: un tempo il territorio della parrocchia di Cambiano era molto esteso: coi Mosi e i Mosetti vi erano, ad esempio, i Ponticelli, Guetto, il castello di Rivera, e dipendenze, dominio dei Simeoni di Chieri, che in seguito fece parte del contado di Santa Elena.
Essendo il nome Mosetti un diminutivo di Mosi si tratterà toponomasticamente solo di questi ultimi, perché le notizie sono uguali per entrambi.
Il toponimo Mosi non è esclusivo del nostro territorio: lo si trova tale e quale in Lombardia, ed il professor Dante Olivieri, nella seconda edizione del suo “Dizionario di toponomastica lombarda” dice a proposito: “Mosi, provincia di Crema, vasti terreni torbosi, residui del lago Gerundo, secondo il Chiesi; forma plurale di “moss”, che coesiste con “mosa””. Esiste anche un toponimo al singolare Mosio, presso Mantova.
Il primo che si occupò del termine “moss” fu il prof. Carlo Battisti nel suo studio linguistico e nazionale del Trentino (1922) completato ed aggiornato con altri studi sulle parlate delle valli Ladine. Il prof. Giandomenico Serra nel 1924 scriveva, esaminando il lavoro del Battisti: “All’areale Moss, luogo paludoso, che si suppone da una base Mõsa Musa, si aggiunga l’area dei Mosi cremaschi, “vasti paludi”, e dalla voce medievale Mõso Mosa “palude”, isoletta o dosso fangoso, d’uso nel cremasco e a tutta la bassa Lombardia centrale”.
Il Serra, non solo respinge l’interpretazione di Battisti, ma dà la seguente spiegazione: “Mosi: il vocabolo era usato più frequentemente al plurale e questa constatazione d’ordine morfologico ci riconduce per via diritta all’etimo che non sarà “mosa” o “musa”, ma “illi limosi”, in quanto la sillaba iniziale nel gruppo sintettico “illi limosi” si è soppressa, onde ne nacque “l/i mosi”, sulla quale voce si conforma pure il singolare ed anche il femminile, anch’esso da “limosus-a””. Da questa spiegazione possiamo capire perché tanto in dialetto che in italiano i nomi delle due borgate sono sempre al plurale.
Anticamente erano circondati da acquitrini; basterebbe citare i toponimi: Fontaneto e Giuncheto, che trovansi nelle vicinanze, trasformati dall’azione naturale ed antropica in fertili territori specialmente prativi. Infatti Fontaneto deve il suo nome alle sorgive o fontane che affioravano nelle vicinanze.
Un’ultima curiosità: gli antenati di San Giovanni Bosco, come disse Secondo Caselle, sindaco di Chieri, erano tutti chieresi e la bisnonna era nata ai Mosi, battezzata e sposata nella chiesa di Cambiano: si chiamava Cecilia Dassano.
I CASTELLI |
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L’origine dei castelli delle due borgate, secondo Padre Giovanni Piovano, è molto antica, tanto da affermare che con Fontaneto esistessero prima della calata di Federico Barbarossa che distrusse con Chieri e Cambiano anche i castelli che li circondavano. Risorta Chieri e i centri dipendenti, anche i Mosi e i Mosetti furono ricostruiti dai loro proprietari, come affermano i documenti conservati negli archivi e risalenti al 1263.
Secondo il Manno e l’Angius questi castelli appartenevano ai Gribaldenghi, cioè alle famiglie dei Gribaldi o Gribaudi, Broglia, Bullio e Moffa che portavano uno stemma: d’oro, alla croce di Sant’Andrea ancorata d’azzurro, col motto POUR L’AVENIR. In particolare, i Mosi compare solo a partire dai Catasti del 1275, come appartenente alla famiglia dei Gribaudi, quindi ritorna negli Statuti del 1311 (“Moxios”), nei Catasti del 1327, nella richiesta del Comune di difendere castelli e casali del 1366 (“Moxos”) e infine negli Estimi del 1425, dove viene elencato tra i “casales” con il toponimo “Mossios” ed è accatastato tra le proprietà dei Broglia. Estinte le famiglie degli antichi feudatari, nel 1724, il notaio Giovanni Levrotti (o Leprotti), di Carmagnola ebbe in concessione il titolo di Conte di Fontaneto. Il contado comprendeva oltre la borgata di Fontaneto: Mossi (sic), Mossati (sic), Castelguelfo e Ponticelli. Questa famiglia si estinse nel 1827 con la morte di Giuseppe Vittorio Amedeo. Cinque furono i conti di questa famiglia. Può darsi che su qualche muro sia ancora visibile lo stemma dei Leprotti: di rosso, al lepre d’argento corrente sulla pianura erbosa; col capo d’azzurro, cucito, carico di tre stelle d’oro. Motto: LUMEN ET AUXILIUM. |
CASTELLO DEI MOSETTI (MOSSATI) |
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In frazione Mosetti (o Mosatti, Mossatti, Mossatis) si trova un edificio localmente detto “castello”, ma che, dal punto di vista strutturale, forse sarebbe più corretto definire casaforte. La sua origine parrebbe relativamente tarda, non precedente la metà del XIII secolo, epoca in cui si rese necessaria una cinta di fortezze per proteggere Chieri dalle guerre tra il marchesato di Saluzzo e quello del Monferrato.
Il Bosio sottolinea la sua presenza già nei Catasti chieresi del 1275 e del 1327, quando il bene apparteneva alla famiglia dei Gribaudi; tuttavia negli Statuti del 1311 non compare tra le cascine fortificate destinate a raccogliere il grano che deve essere inviato a Chieri. Solo nel 1366 col toponimo “Moxatos” i Mosetti fanno la loro comparsa ufficiale e stabile nella storia locale e seguono il destino dei Mosi passando, nel Quattrocento, ai Broglia e nel 1748 ai Levrotto. Al centro del fronte principale una torre quadrangolare sovrasta il portale carraio d’accesso al cortile. Lo schema parrebbe derivato dalle torri-porta dei ricetti. Apparentemente la torre è coperta da un tetto ad un solo spiovente, rivolto verso l’esterno ( a prima vista sembrerebbe una torre a punta di clarino), ed anche questa tipologia trova diversi riscontri nel territorio. L’interno del cortile conserva, al centro, un pozzo in laterizi con copertura in coppi. Le pareti dell’edificio che si affacciano sul cortile hanno oggi un paramento in mattoni a vista ed una, in particolar modo, è arricchita da due fasce marcapiano formate da laterizi lavorati simili a quelli delle cornici delle finestre ogivali. La mancanza di decorazioni a figure geometriche o vegetali e la sola presenza di mattoni con il bordo arrotondato, alternativamente concavo e convesso, fanno pensare ad una costruzione tardo-trecentesca, frutto di un rinnovamento di parte della casa operato negli anni in cui Chieri iniziava la grande ricostruzione secondo il gusto gotico. Nella sostanza, anche se oggi appare soprattutto un complesso architettonico eterogeneo, contrassegnato dalla prevalenza di elementi tipici dell’architettura civile, non si può certo escludere che il “castello dei Mossati” fosse un’opera destinata a scopi difensivi fin dall’origine. Oggi appare “addomesticato” da secoli di rimaneggiamenti e dall’utilizzo agricolo, ciò nonostante il suo primitivo volto traspare qua e là tra le pieghe di un’architettura più dolce, evocando forse memorie belliche passate, di cui non è stata rinvenuta alcuna traccia nelle fonti. Oggi è proprietà privata. |
CASTELLO DEI MOSI |
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In frazione Mosi (Mozzi, Mosy) si trova un castello di origine medievale, ormai, in parte decadente. La sua funzione doveva essere quella di cascina- granaio, fortificata per impedire le razzie, e tale caratteristica mantenne fino al 1748, quando entrò a far parte della “contea di Fontaneto”, infeudata a Giuseppe Levrotti e a i suoi successori.
Quasi certamente la parte più antica era il mastio, trasformato successivamente in torre, quando intorno ad esso è stata aggregata una costruzione di più ampie dimensioni, dominata da una forte eterogeneità. Le singole parti risultano tra loro effettivamente scollegate; l’accorpamento deve comunque risalire ad un’epoca non recente, quando il castello svolgeva probabilmente una funzione difensiva. Il periodo dovrebbe essere individuato verso la fine del XV secolo, come dimostravano i merli bifidi, le decorazioni a denti di sega e le finestre a bifora. Anche le modifiche apportate in tempi più recenti, al fine di adattare l’edificio alla sola funzione agricola, hanno contribuito ad accrescere la disomogeneità tra le singole parti. Oggi si presentano come un edificio monolitico a quattro piani fuori terra serviti da due scale: la prima, sul retro, inglobata nel perimetro dell’edificio, è chiusa, in alto, da un abbaino settecentesco che ne denuncia il periodo di costruzione; la seconda, sul fronte verso la corte, è una tipica scala-torre che termina in un loggiato, anch’esso risalente al XVIII secolo. Nulla sopravvive che possa testimoniare del casale medievale, anche perché probabilmente i Levrotti operarono delle trasformazioni per adattarlo alle loro esigenze. Addossato al muro del fronte posteriore si trova un pozzo ancora parzialmente coperto da un tettuccio in coppi. Oggi è proprietà privata, ma l’usanza vuole che ogni abitante della frazione avesse diritto ad una camera del castello. |